venerdì 23 marzo 2012

FENOMENOLOGIA DEL NULLA




L’acquisto compulsivo è la risposta ai mali del mondo.
Un giorno, ero talmente triste che ho comprato un set di ciambelline di carta da mettere a mo’ di collana al water. Venti strati di igiene. L’estetica del gusto. L’estetica del bagno. Poi, ho realizzato che non sarei riuscita a sopravvivere senza un collutorio per denti bianchissimi. Perché, se mai un giorno mi fosse tornato il sorriso, non potevo, non dovevo, trovarmi impreparata. Con una foglia di insalata sugli incisivi. Che vergogna, che scempio.
Presto avrò bisogno di un grammofono, lo sento.


Questo ineluttabile bisogno di materia supplisce all’assenza di altra materia nella nostra vita.
C’è chi lo chiama Ammore, chi la chiama cosmica Solitudo, chi si appella alle varietà più fresche di ortaggi e alle good vibrations (del Reggae). C’è chi è alla ricerca del vero io nell’altro io, c’è chi non si conosce ma conosce gli altri, chi s’incammina e non torna più. Chi torna. Chi ha la barba per nascondere il naso. Chi non ha il naso e rimane all’asciutto. Chi non ha la barba, né il naso, né i capelli, né le sopracciglia disegnate con i carboncini della Giotto. C'è chi conosce la storia del creato. C’è chi finge di conoscere le ricette della Nonna. C’è chi mangia la nutella con il mestolo. C’è chi cucina la domenica mattina i cannelloni. C’è chi fa il soffritto senza cipolla. C’è chi giura che nessuno mai è stato mai nessuno. C’è chi si rovina la vita, però solo parzialmente. C’è chi controlla che non si parli in Sala Riviste. C’è chi non ha i soldi per il cinema del Sabato sera (ma anche del venerdì e della domenica, ché il prezzo è uguale). C’è chi ricomincia a fumare dopo che aveva smesso. C’è chi sposa una causa. C’è chi non si sposa mai. C’è chi prende la sua croce e la ripone nel cassetto. C’è chi va ai concerti e piange se la canzone è triste. C’è chi sosta in piazza. C’è chi nasce stronzo e muore, inevitabilmente, più che stronzo. C’è chi è buono, ma anche un po’ stronzo, ma poi, alla fine, sui fondamentali è buono. C’è chi ti presta i soldi. C’è chi trova la cena pronta. C’è chi non mangia per non lavare i piatti. C’è chi si compra un quaderno con i fogli tutti bianchi dopo che ha finito la pratica. C’è chi si porta il pranzo da casa. C’è chi fa lo svuotafrigo con i fagioli cannellini, l’insalata riccia, l’uovo sodo e il tonno. C’è chi ha sbagliato facoltà, ma si laurea lo stesso. C’è chi si crogiola nella propria visione monoteista delle cose. C’è chi legge un libro per conciliare il sonno. C’è chi ha la diarrea prima degli esami importanti. C’è chi voleva fare il pilota di auto superveloci. C’è chi voleva fare la scienziata. C’è chi ci ripensa e, alla fine, apre una panetteria per restare sveglio tutta la notte. C’è chi ha le mani da fornaio, che diventano da intellettuale, e alla fine s’ingrossano un po’ a forza di pugni sul muro. C’è chi fa serata con le patatine del Todis. C’è chi manda tutti al diavolo, ma poi, anche no. C’è chi sogna di volare. C’è chi sostiene che il volo sia solo il palliativo di Peter Pan. C’è chi mangia etnico e il giorno dopo si accorge di aver bisogno delle ciambelline di carta da mettere intorno al water. C’è chi conosce la semantica dei fiori gialli. C’è chi viene baciato dai cani, al parco. C’è chi fuma marijuana per avere visioni oniriche del mattino. C’è chi fa delle dichiarazioni d’amore al proprio letto. C’è chi torna a casa e abbraccia il tavolo. C’è chi sostiene che bisognerebbe tenere un libro universitario in bagno. C’è chi si è stancato di parlare.

C’è chi ha appena smesso di pensare a chi, come, cosa, quando. E mai che qualcuno mi dicesse il perché.


mercoledì 14 marzo 2012

IL LIBRO DEI DESIDERI




Tutte le case ammobiliate
le nude proprietà
i mutui già pagati
le ferie retribuite
le cene al ristorante
le tasse evase.
Tutti i regali di natale
i buoni pasto
i libretti di risparmio
i viaggi oltreoceano
gli assegni in bianco
le sottovesti di seta
le visite specialistiche
i pasticcini al cioccolato,
non valgono 
i chicchi di riso
dei tuoi occhi felici.

lunedì 12 marzo 2012

LA PRIMA GIORNATA DI SOLE





Una ragazza va in una libreria. Sosta davanti la sezione “Poesia”. Poi prende un libro. Afferra la bic nera nella sua borsa nera. Scrive qualcosa con la bic su un biglietto giallo. Infila il biglietto nel libro.

Arriva una donna sola. Sosta per un attimo davanti la sezione “Poesia”. Afferra lo stesso libro dentro il quale la ragazza aveva messo il biglietto. La ragazza si sposta leggermente alla sinistra dello scaffale. La donna apre il libro. Legge il biglietto. Dà un’occhiata alla pagina del libro. Lo ripone. Pensa un poco, tentenna, riprende il libro.

La ragazza osserva la scena e finge di leggere. Vuole rimanere, ma desiste. Si dirige nella sezione Hard’n heavy, mostrando indifferenza. Attende pochi minuti, torna nella sezione “Poesia”.

Il libro non c’è più.

La donna sola è il messaggero di parole che voleva fossero per sè e che una ragazza sola ha saputo scrivere su un biglietto giallo con una bic nera.



Resta con me.

martedì 6 marzo 2012

CHIAVI IN MANO









Le password che utilizziamo dicono molto su di noi. Sono le prime parole che ci vengono in mente. I numeri che crediamo di poter ricordare sempre. Sono il disco che ci ha cambiato la vita, la moto dei quindici anni e mezzo, il libro che abbiamo appena letto, le parole che non ci hanno detto. Sono il film dei baci al buio, è il giorno in cui proprio non riuscivamo a stare nelle mutande, è quando d’estate non conta quanti gradi ci siano. I pochi di spirito segnano la propria data di nascita, i servili azzardano il giorno del matrimonio, i singles il proprio nome al contrario. Le zitelle sulla quarantina indicano il nome del cane, con l’iniziale maiuscola. I bimbiminkia scrivono kekkazzokkakkapuzza, ma con più k. I programmatori informatici, la targa della propria auto (non chiedetemi perché). I dead of hunger, il modello di auto che vorrebbero avere (e un piatto di coda alla vaccinara). I poliziotti scrivono ACAB, i carabinieri non sanno cos’è una password. I devoti, recitano le prime righe del Deuteronomio.
Le mie password, invece, sono lo specchio fedele del nomadismo che affligge la mia generazione. Affermazioni nichiliste composte, cifrari misterici, abbondanza di punteggiatura.
Le password che uso sono le domande a cui non so dare una risposta. E mi costringo a scriverle ogni giorno. Come se avessi deciso deliberatamente mi pormi ogni giorno un quesito, lo stesso.
**********************?

lunedì 5 marzo 2012

MOTTI ESISTENZIALISTI DEL LUNEDI'




Se ascolto Jeff Buckley, o  peggio, se ricomincio ad ascoltare Jeff Buckley, significa che qualcosa non va. Poi, il fatto che “qualcosa”, in realtà, sia un eufemismo per indicare un tutto poco relativo, è un altro paio di maniche. 
Oggi, però, parleremo di Jeff.
Jeff è morto suicida o, almeno, è quello che si intuisce dalle parole della sua unica opera prima.
Magari, anche per Jeff c’era qualcosa che non andava.
Si trovava sempre con qualche tipa che gli rovinava il pomeriggio. Poi, in tutta calma, beveva un bicchiere di buon rosso, faceva un bel respiro, e via di schitarrate strappalacrime e versi d’amore.
Come facesse a scegliere con disperata competenza quelle muse è una faccenda da comprendere. Perché è da lì che deriva la ventura del buon vecchio Jeff.
Se Jeff non avesse maturato quegli incontri, avrebbe mai scritto Grace, o peggio, Last Goodbye? Avrebbe mai determinato l’epilogo dei veglioni etilici di milioni di romantici? Mi avrebbe mai costretta a comprare un  pacco scorta di Kinder Bueno (conosciuto come: pacco scorta prima dell'arrivo della profezia Maya) e di Più Gusto formato famiglia allargata (compresi figli nati da relazioni extraconiugali), al supermercato?
Forse, avrebbe sprecato le sue serate nei pubs della contea dell'Hampshire a cantare le cover di John Lennon solista. (Sì, parlo del John che aveva incontrato Yoko e che, con la scusa della Guerra in Vietnam, copulava di continuo nelle migliori stanze d’albergo di mezza Inghilterra).
Jeff avrebbe affittato un appartamento in città. Con semplicità, si sarebbe innamorato (o almeno, avrebbe creduto). Si sarebbe sposato con un’efebica biondina, ingrassata dopo le tre gravidanze volute dai due. Avrebbe comprato la casa in affitto con i soldi dei genitori di lei. Avrebbe fatto le analisi del sangue due volte l’anno ed il controllo alla prostata in andropausa. Avrebbe chiamato i figli al cellulare dopo le 2 del mattino per chiedere che fine avessero fatto. Avrebbe calzato scarpe nuove di vernice nera per l’ultimo viaggio.
Invece no. 
Jeff ha scelto la strada delle afflizioni. 
Nessuna biondina, nessun matrimonio, nessun marmocchio tra i piedi. 
Niente cellulari, mutui, donne in preda agli isterismi, rotture di palle.
Maledetto Jeff. Non è bastata la birra che abbiamo bevuto l’altra sera. Non gli è bastato un intero anno stereo della mia vita universitaria. Ora vuole farmi credere che è nello strazio delle gonadi che risiede l’ispirazione lirica.