Mio Amore,
oggi sono arrivata fino ad
Anagnina. Sono andata dall'edicolante del piano terra. Ti ricordi? Un giorno ti
ha fatto ingelosire. Il padre mi ha raccontato che conosce il mio paese, i
frati dell'abbazia e un meccanico. Il figlio, quello che vende di solito i
biglietti, era dietro le riviste. Prima di andare via l'ho salutato. Lui mi ha
guardato come se volesse chiedermi qualcosa. "Chi non è stato abbastanza bravo?", "e tu dove vai?", "hai
paura del buio?". I suoi occhi mi hanno graffiato. Ho sentito allo
stomaco le unghie dei suoi occhi. Gli occhi di un folle uomo folle, abbastanza
folle da capire che non c’erano folli risposte per la mia faccia folle.
Poi, ho percorso il passaggio
fino alla fine, come mi dicevi tu. Sono salita alla penultima uscita, perché,
come sai, non sopporto l'idea del termine delle cose. La pizzeria del piano
terra era chiusa, prolungano le ferie.
Ho sostato a lungo sulla
panchina. Accanto a me si sono seduti una ragazza ed un ragazzo di colore. Ho
pensato che si fossero conosciuti proprio quel giorno. L'ho capito quando lei
si è allontanata e lui non ha frugato nella sua borsa per cercare l'accendino e fumare una sigaretta. Lei è tornata, lui si è alzato con la sigaretta
dietro l'orecchio, senza chiederle niente. La ragazza mi ha domandato qualcosa
che ora non ricordo. Le ho risposto qualcosa che non ricordo. Ho distolto lo
sguardo, la strada li ha inghiottiti.
Chissà che valore hanno le parole
non dette. Un accendino, una sigaretta, una panchina.
Ho aspettato che il sole fosse
alto nel cielo, per capire che effetto facesse il mondo illuminato. Il sole
disvela il segreto delle cose, anche di quelle che non sai.
Imparerò a fare solo le cose che
mi piacciono, ad arrivare in orario, a giurare l’Amore che posso dare.
Stamattina, nell'attraversamento
pedonale di Via Tuscolana, quello che mi fa sentire a New York City nell'ora di punta, c'erano due vecchietti che si
tenevano la mano. Lui aveva una polo con i bottoni, però. Lei i capelli biondi.
Forse anch’io tingerò i capelli, li farò più chiari, per nascondere quelli
bianchi. Oppure lascerò che diventino bianchissimi, seguendo il tuo consiglio.
Chissà dove andavano così presto di mattina. Ho pensato che, se un giorno
diventassi vecchia, resterei a letto con il mio vecchio almeno fino alle 10
della mattina. Secondo te, si farà ancora l'amore dopo i 70? E dopo i 60? Mi
troverai ancora bella? Mi dirai con i tuoi occhi neri che ti piaccio?
Gli occhi non mentono mai, lo so.
Sto continuando a grattarmi dietro la testa. Non riesco a capire che dimensione abbia la crosta che ho. Mi sembra una penisola, anzi, no, un'isola coperta dai capelli. Per ora è priva di trasporti, non ci atterrano nemmeno gli aerei.
Ieri, di ritorno a casa dal lavoro,
ho visto Luna. Era con il papà, la portava a cavalcioni sulle spalle. Guardava
il mondo dall'ultimo piano di un grattacielo. Rideva a crepapelle con i suoi
riccioli neri, mentre il papà le raccontava come nascevano i fiori, sugli
alberi. Con le manine piccole copriva gli occhi del papà. "Dove sono ora? Dove?".
Luna è stata concepita una notte
in cui i genitori erano ebbri e sobri all'idea di volerla avere. Il bello è che
non si sono detti niente, lo sapevano. Sapevano già che Luna avrebbe avuto le
gote tonde come quelle delle bambole di porcellana, i capelli ricci e neri, e che avrebbe
indicato tutte le cose con meraviglia. Sapevano che Luna sarebbe stata esile e
che non avrebbe mangiato la buccia delle pesche. Che avrebbe imparato a
disegnare e a scrivere prima degli altri bambini. A suo tempo, la mamma aveva avuto
paura delle smagliature della gravidanza, del disagio di avere dentro sé un
corpo diverso, che ti spia, conta i tuoi passi. Mangia con te quando non ha
fame. Aspetta che tu beva per dissetarsi. Che vive al buio, come un baco da
seta. Il papà, invece, aveva avuto paura di non essere più giovane come un
tempo, quando poteva avere tutte le donne che voleva.
Quando non aveva la donna che lo
rifiutava.
E che, un giorno, gli ha regalato
la Luna.