Stamattina avevo deciso di di
mettere a posto il mio guardaroba. Di dare una fissa dimora ad una serie di
maglioncini, t-shirts e gonnelline di
cotone, ormai apolidi. Nel farlo, ho realizzato che potrei dedicare un’intera
sezione dell’armadio alle fibre sintetiche. A quei finti sottogiacca stretch pensati per occultare al genere
umano ciò che risiede dal collo fino all’ombelico. Un tempo li indossavo (senza
la giacca, ovviamente). Se ci penso bene, per un periodo, sparutissimo, mettevo
delle giacche. E’ stato poco prima di laurearmi, per andare ai ricevimenti con
la mia tutor. Mi sentivo
profondamente regale, nella mia giacca e camicia. E poi, stavo per entrare nel
mondo dei veri professionisti. Altro che converse,
pantaloni larghi e fancazzismo.
Dovevo darmi un tono. Eh.
Poi, per il giorno della mia
laurea non mi sono fatta mancare proprio niente. Un tailleur nero (che raccomando per l’infinita sequela di
colloqui post-delirio di onnipotenza)
e una camicia, anzi, no, un top con volant,
vul au vent, vulè vu, di una nota griffe
perugina. Fichissima.
Per impreziosire la mia tenuta, la mamma, mossa dalla
necessità di portare in tripudio il mio definitivo grado d’istruzione, aveva
applicato alla giacca dei bottoni in pietra. Due enormi prismi di diamante.
Avrei potuto sezionare il portone in vetro della facoltà con la punta dei
bottoni. Che entrata di scena, cazzo. Le compagne di facoltà, gelose fino al
midollo, avrebbero fatto carte false per replicarmi. Magari con una borsa Louis
Vuitton posta a mò di trofeo nell’incavatura dell’avambraccio.
Io, però, non lo feci, per paura
di non poter discutere la mia teoria, davanti ai dinosauri disposti a ferro di
cavallo. Mi avrebbero preso per una sorta di supereroina o chissoio, mi avrebbero strappato tutti i capelli per estrarre il
mio dna, mi avrebbero tagliato le unghie malamente, mi avrebbero fatto crescere
i peli delle gambe oltre il limite consentito. Insomma, sarei stata prigioniera
dell’Università per un altro lustro. E questa eventualità, lo dico con
schiettezza, ho proprio cercato di evitarla. Non avrei sopportato l’idea di
sacrificarmi per la scienza. L’Università aveva già avuto i miei soldi, il mio
sudore, le mie lacrime, il mio sangue.
Non gli avrei dato anche il mio corpo.
Assolutamente no.
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