domenica 8 gennaio 2012

LE IRRIMEDIABILI DECISIONI DELLA DOMENICA





Stamattina avevo deciso di di mettere a posto il mio guardaroba. Di dare una fissa dimora ad una serie di maglioncini, t-shirts e gonnelline di cotone, ormai apolidi. Nel farlo, ho realizzato che potrei dedicare un’intera sezione dell’armadio alle fibre sintetiche. A quei finti sottogiacca stretch pensati per occultare al genere umano ciò che risiede dal collo fino all’ombelico. Un tempo li indossavo (senza la giacca, ovviamente). Se ci penso bene, per un periodo, sparutissimo, mettevo delle giacche. E’ stato poco prima di laurearmi, per andare ai ricevimenti con la mia tutor. Mi sentivo profondamente regale, nella mia giacca e camicia. E poi, stavo per entrare nel mondo dei veri professionisti. Altro che converse, pantaloni larghi e fancazzismo. Dovevo darmi un tono. Eh.
Poi, per il giorno della mia laurea non mi sono fatta mancare proprio niente. Un tailleur nero (che raccomando per l’infinita sequela di colloqui post-delirio di onnipotenza) e una camicia, anzi, no, un top con volant, vul au vent, vulè vu, di una nota griffe perugina. Fichissima. 
Per impreziosire la mia tenuta, la mamma, mossa dalla necessità di portare in tripudio il mio definitivo grado d’istruzione, aveva applicato alla giacca dei bottoni in pietra. Due enormi prismi di diamante. Avrei potuto sezionare il portone in vetro della facoltà con la punta dei bottoni. Che entrata di scena, cazzo. Le compagne di facoltà, gelose fino al midollo, avrebbero fatto carte false per replicarmi. Magari con una borsa Louis Vuitton posta a mò di trofeo nell’incavatura dell’avambraccio.
Io, però, non lo feci, per paura di non poter discutere la mia teoria, davanti ai dinosauri disposti a ferro di cavallo. Mi avrebbero preso per una sorta di supereroina o chissoio, mi avrebbero strappato tutti i capelli per estrarre il mio dna, mi avrebbero tagliato le unghie malamente, mi avrebbero fatto crescere i peli delle gambe oltre il limite consentito. Insomma, sarei stata prigioniera dell’Università per un altro lustro. E questa eventualità, lo dico con schiettezza, ho proprio cercato di evitarla. Non avrei sopportato l’idea di sacrificarmi per la scienza. L’Università aveva già avuto i miei soldi, il mio sudore, le mie lacrime, il mio sangue. 
Non gli avrei dato anche il mio corpo. Assolutamente no.

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