Se c’è una cosa che ho capito in
più di un anno di militanza nei Tribunali, è che gli uomini di mezza età (e con
mezza età, intendo, per via dell’inarrestabile allungamento della vita, quegli
esemplari nati nell’intervallo tra la Rivoluzione russa e la fine della Guerra
in Corea), di cravatta adornati, non sono disposti, mai, mai e poi mai a
cedere il passo. Come se la Cavalleria
fosse esclusivamente l’insieme delle unità militari montate a cavallo. Punto,
nient’altro. No other info provided. Alla
fine, se ben ci penso, è del tutto lecito credere di avere a disposizione il
transito esclusivo dei corridoi, dei marciapiedi, delle strade del mondo. Camminando
a testa alta, con lo sguardo tronfissimo e il naso all’insù, a cercare l’infinito.
Per comodità di scrittura, li chiamerò Gli
uomini che tutto sanno.
Va detto che solo pochissimi prescelti,
in realtà, ignorano in toto la cognizione
spaziale degli elementi circostanti. E questo è un vero peccato. Lo è perché
assistere al cammino bendato dell’Uomo
che tutto sa, nel luogo che non conosce è una delizia per altrettanto pochissimi
gourmet del genere.
Solitamente, l’Uomo che tutto sa, gode dell’incredibile,
avviluppante, onniscienza negata al resto dei mortali. Lui lo sa, perché sa per definizione. Ed è qui che nasce il problema. Navigare
in acque ignote, pone, l’Uomo che tutto
sa, in una situazione incresciosa. La definizione di uomo che capisce, che
intende, che vede e prevede, s’incrosta. La sua consistenza ontologica viene a mancare.
Un perdita totale dell’essere. Ma l’Uomo
che tutto sa questa cosa qui proprio non è disposto a confessarla. Quindi,
anche se i luoghi che percorre sono a lui sconosciuti, lui li conosce, lui sa.
Basta.
Ciao Uomo che tutto sa, con la tua giacca in tweed, i pantaloni a costine dè
mi nonno, l’impermeabilino dell’Upim e l’ombrello di Mel Gibson in Braveheart.
Oggi non hai capito un ciufolo a
sonagli. Guarda che sole che c’è, lì fuori.
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